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AFRICA 16/2/2006



In Africa centinaia di prodotti naturali, dalle piante ai batteri, sono stati negli anni illegalmente “sottratti” alle comunità d’origine e brevettati dalle multinazionali con notevoli profitti economici; lo ricorda un dettagliato rapporto pubblicato dall’Edmonds Institute, istituzione ambientalista statunitense, e l’Africa Center For Biosafety, con sede in Sudafrica. Tra le nazioni del continente più colpite dal fenomeno risulta il Kenya dove, per fare un esempio, un batterio recuperato dalla diga di Ruiru è stato trasformato in una medicina antidiabete che ha fatto guadagnare 379 milioni di dollari alla società farmaceutica tedesca Bayer. Altri microbi, prelevati nei laghi della Rift Valley nel 1992 da un ricercatore inglese, sono stati registrati tra i brevetti privati di un’altra multinazionale con sede in California (Genercor International), che li ha usati nell’industria tessile per la decolorazione dei jeans con un profitto di 3,4 miliardi annui; mentre altri enzimi sono stati brevettati dal colosso statunitense nella produzione dei detergenti, Procter and Gamble. Situazioni simili si sono ripetute in gran parte delle nazioni africane dal Marocco allo Zimbabwe e dall’Egitto al Sudafrica. In tutti i casi le scoperte, così fruttuose per gli industriali, non hanno avuto nessuna ricaduta economica sulle comunità d’origine. Il meccanismo si è ripetuto con i principi attivi estratti da piante africane – le cui proprietà erano ben note ai popoli locali - e usate in farmaci contro il cancro, in antinfiammatori e nei prodotti cosmetici, dopo ovviamente aver protetto la ‘scoperta’ con inviolabili brevetti internazionali. Dalle 42 pagine del dossier emerge una domanda sostanziale: fino a che punto possono essere “saccheggiate” le risorse della biodiversità africana, acquisendone addirittura la proprietà intellettuale, e per di più senza alcun ritorno per le comunità di origine?[BF]


Fonte Misna

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